È sempre difficile riuscire a trasferire le emozioni e le sensazioni provate in un luogo ed in un tempo che ci sono appartenuti. Quello che si può fare, in questi casi, è di cercare di fornire le chiavi perché la prossima volta queste emozioni appartengano anche a voi. Per questo, ve lo diciamo già da ora: non mancate al prossimo Design Week Festival di elita, sarà la decima edizione e sarà grande, a scatola chiusa, senza nemmeno conoscere uno degli artisti che verrà chiamato.

Questa macchina, in piedi da dieci anni ormai, è oliata alla perfezione. Ed anche quando introduce, lentamente, cambiamenti che sono nuovi a Milano e, conseguentemente, all’Italia intera, bastano poche “scosse d’assestamento” perché vengano presto classificate come normalità. La dimostrazione è la qualità media del pubblico: maturo, oseremmo dire presobene, appassionato, corretto. Specie quello del Teatro Franco Parenti, luogo bellissimo e che sembra fatto apposta per il festival, il giusto equilibrio fra cultura e divertimento.
Dell’edizione 2014 ricorderemo sicuramente le performance, ma anche i grandi sforzi che la crew dietro l’evento (un nucleo di una decina di persone più altri cento collaboratori) ha profuso per ampliare i confini entro i quali il DWF si muove. Del resto siamo durante la Design Week, e quindi non si può non apprezzare il Milano Design Award, il progetto di stage design curato da Lorenzo Palmeri o la Sala del Treno Blu animata da Rethink Deep di Marco Klefisch.
Come, dal punto di vista organizzativo, accogliamo con grande favore il sistema di pagamento coi token, che ha evitato code e semplificato la vita dei tanti visitatori, nonostante inizialmente fosse stato accolto con (cieca) resistenza ed avesse avuto qualche piccolo problema di rodaggio. Tutto passato ed il lunedì dopo il conto non può che essere in positivo. E la percezione che si può avere del festival è di essere decisamente europeo.

Ora, però, parliamo di musica. Abbiamo praticamente presenziato alla gran parte degli eventi in Teatro, con qualche capatina nelle “sedi distaccate” del City Network.

Partiamo dall’opening: quello che paradossalmente ci ha lasciati maggiormente felici non è stato il dj set di Moodymann, accolto da star, che però ha ingranato la quinta solo sul finale, ma la bellezza e la cura della location: i Giardini di Villa Reale, incastonati fra PAC e GAM, sono una perla che mai aveva “sentito” la musica prima, e che d’ora in poi andrà necessariamente riconsiderata in questa ottica. Quindi, il primo ‘grazie’ vicendevole è fra il Comune di Milano ed elita: entrambi hanno regalato un nuovo luogo dove la città può sognare la sua tanto aspirata “internazionalità”. Non è mancata nemmeno la cultura in senso più stretto, con l’apertura serale delle mostre al PAC ed al GAM (incredibile vagare fra opere d’arte, mentre risuonava l’house detroitiana di Moodymann). Il momento più emozionante l’abbraccio fra Moodymann e Tony Allen, due mostri sacri che non si erano mai incontrati fino a quel momento.

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Ciao Moodymann

Il giorno dopo è stato dedicato principalmente al pop, un inizio soft del tutto coerente e che ha garantito un “crescendo” a tutta la kermesse: siamo tornati assolutamente soddisfatti dal concerto della nostra Levante (che abbiamo intervistato per voi), seguita da Owlle e Clean Bandit. Tralasciando la potenza con la quale la band inglese ha trascinato il pubblico in una danza continua ed incessante, dedichiamo qualche riga alla francesina electro-pop: partita in sordina, forse perché sconosciuta al pubblico milanese, ha saputo conquistare applausi ed entusiasmo, un buon segno in chiave futura. Presto sarà ospite delle nostre pagine, chissà cosa avrà da raccontarci.

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Nella prima foto Levante, poi due componenti dei Clean Bandit

Giovedì il piatto è stato più che ricco: partiti da Girls in Hawaii, Wild Beasts e Joan as Police Woman (anche con lei abbiamo parlato poco tempo fa), con un piccolo ricambio di pubblico (una delle bellezze di questo festival), siamo finiti fino alle 5 del mattino ai Magazzini Generali, dove Todd Terje ha fatto impazzire il pubblico con il live del suo primo LP “It’s Album Time”. Algido e norvegese nelle movenze, caldissimo nelle frequenze, con la sua space disco, leggermente “appesantita” per il dance floor rispetto al disco. Dopo, possiamo solo dire che Julio Bashmore non ha sbagliato un colpo per tre ore filate. Una successione micidiale di house, electro e UK bass da far impallidire chiunque. A casa eravamo distrutti, ma decisamente felici.

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Todd Terje, prima, e Julio Bashmore, poi, hanno infiammato i Magazzini Generali

Venerdì è stata la ormai tradizionale serata dedicata all’hip hop, almeno in prime time. Ed il cast era di tutto rispetto: a partire dagli italiani Johnny Marsiglia & The Night Skinny, che hanno riscaldato il tantissimo pubblico, passando per il funk di Ad Bourke, fino ad arrivare all’attesissimo Madlib. Il suo è stato un dj set dominato dai “bassoni”, partito in sordina e poi cresciuto, per poi introdurre quello che, secondo noi, è stato il vero fuoriclasse della serata: Hudson Mohawke. Il 28enne scozzese ha infiammato il pubblico con un dj set di una qualità spaventosa, alternando pezzi più “caciaroni” a tocchi di classe, come l’intro a capella di Strange Fruit di Nina Simone. Epico il momento finale, quando Madlib arriva sul palco, improvvisa un duetto con H.M. ed il tutto termina in un abbraccio, nel delirio del pubblico.
City Network bello attivo per il 2nd time: gli eventi più di rilievo, tanto per sottolineare la varietà e qualità della lineup, Tale of Us al Mi.Co, la fiera di Milano, anche qui esordio assoluto di una location, e Andrew Weatherall & Ewan Pearson al Tunnel.

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Johnny Marsiglia & The Night Skinny, e poi un sorridente Hudson Mohawke. Di Madlib è inutile inserire foto, perché era avvolto in una coltre di nebbia.

Dead Heat, DJ Tennis, Four Tet, Daphni aka Caribou. Tutti in una sera. Probabilmente si può dire poco, pochissimo, perché i nomi dicono già molto di quello che è stato. È finito tutto troppo presto, bisognava che suonassero tutti 5 ore a testa, ma purtroppo non era possibile. Le nostre gambe chiedevano ancora musica ed abbiamo trovato terreno fertile nei ritmi meno balearici del solito di John Talabot, ospite dai nostri amici di Le Cannibale. Solito pienone e solita festa.
Four Tet e Caribou, invece, ci hanno informati di essere andati a trovare il sig. Sven Väth agli East End Studios. Non fatichiamo a chiederci come sia andata.

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Grande atmosfera per la serata dedicata all’etichetta italiana Life&Death, special guest: Four Tet e Daphni

E dopo quattro giorni no-stop, fermarsi era praticamente impossibile. Se c’era un modo di chiudere, i ragazzi di elita hanno fatto la scelta migliore che potessero fare: l’allegria che la Crew Love di New York ha sprigionato in quel del Teatro Franco Parenti è stata la ciliegina sulla torta ad un festival con picchi altissimi di qualità. Da Tanner Ross, ai PillowTalk, per finire con la staffetta fra Wolf+Lamb e Soul Clap, sono state quattro ore di house divertentissima e Loredana Bertè per finire…

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Allegria, mazzi di rose e gin per la chiusura ad opera della Crew Love, il gruppo di dj più pazzi e stilosi del globo terracqueo

 

Qualcuno è andato all’after-party al Rocket. Noi eravamo cotti. E felici. Ogni tanto dell’Italia si può parlare proprio bene.

ph. ©Dario Monetini x Polkadot

Design Week Festival 9: non lo dimenticheremo facilmente