Club to Club 13 – Day 1
È molto chiaro ormai: quando parliamo di musica elettronica, non possiamo più approcciarla come un “fenomeno” giovanile, passeggero. Le dobbiamo portare il rispetto che si porta a generi ben più […]
È molto chiaro ormai: quando parliamo di musica elettronica, non possiamo più approcciarla come un “fenomeno” giovanile, passeggero. Le dobbiamo portare il rispetto che si porta a generi ben più blasonati ed antichi.
La conferma giunge dal primo giorno di Club to Club, eletto come miglior festival autunnale da Resident Advisor, uno dei pochi eventi made in Italy noto per la sua qualità artistica ed organizzativa, e non per i soliti avvenimenti negativi.
Quest’anno gli organizzatori hanno deciso di dare l’onere e l’onore di aprire le danze al beniamino e veterano James Holden, al suo debutto assoluto europeo del live di “The Inheritors”, il suo album psichedelico e sperimentale che ha segnato un punto d’approdo importante per l’artista inglese. Eravamo curiosi di capire come sarebbero stati portati, live, ma soprattutto in teatro – il barocco “Carignano” di Torino, gremito in ogni ordine di posto, da un pubblico rispettoso e assolutamente maturo – i suoni “preistorici”, elementari e molto intimi di un disco che stravolge interiormente l’ascoltatore.
Siamo usciti tutti soddisfatti, ma divisi: lo show è di assoluta qualità, ma il sound del teatro, asettico e pulito, dona una chiave di lettura più contemporanea, e meno “interiore” ai tappeti sonori che, con movenze a cavallo fra un mago ed uno scienziato, l’artista inglese ha dipinto all’interno della raffinata location torinese. Un suono distinto, pulito, alienante, che ha costruito un rapporto intimo fra artisti (le sequenze ritmiche erano affidate ad un batterista live) e pubblico, in un gioco di sguardi ed “imbarazzata” riconoscenza che ha saputo, ancora una volta, dimostrare la grande umanità e passione che pervade questo festival.
Pubblico, come si diceva, maturo e che è letteralmente esploso sulle note di “Renata” e “Gone Feral”, e che ha saputo mettere a proprio agio Holden quando, per esempio, il controller si è “inceppato” e ne è scaturita una melodia involontaria ed incontrollabile, accompagnata dagli applausi ritmati dei presenti.
Finito lo spettacolo, il pullman Absolut di cui eravamo ospiti (siamo stati rimpilzati di hamburger, alcool e dolci: grazie!), ci ha trasferiti al party di Artissima alle Officine Grandi Riparazioni, uno scenario assolutamente suggestivo: ad aprire Dinos Chapman, con la sua dub techno viscerale unita ai visual folli e psichedelici realizzati da suo fratello, e poi i londinesi Factory Floor, piacevolissima sorpresa (o conferma?), con le loro melodie reiterate, un crescendo che ha entusiasmato il pubblico e che avrebbe meritato più tempo.
Ma per il primo giorno va bene così. Ora ci prepariamo al day two, con il dj set di Holden (ri-attesissimo) e, soprattutto, il live A/V di Jon Hopkins, che col suo “Immunity” ha raccolto una candidatura ai Mercury Prize. Poi tutti all’Hiroshima Mon Amour, per rintronarsi il giusto.
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